sabato 19 aprile 2008

Una buona giornata di Giuseppe Calogiuri

















Clac

DLIN-DLON

La porta si apre mentre il campanello elettrico avverte il signor Luigi del mio ingresso nel suo negozio di alimentari in Piazza Mazzini, angolo via Trinchese.
«Buongiorno, signor Luigi!».
«Oh, buondì avvocato, qual buon vento…!».
«Mah… più che il vento, è la fame…».
«Ah…! Sempre con la battuta pronta, eh?... mi dica, mi dica… cosa le do oggi di buono…?».
Un croccante odore di pane va spiegandosi nel negozietto, piacevolmente insinuandosi.
«Allora… per prima cosa mi metta da parte quattrocinque panini… ah, sì… ed un paio di bottiglie di succo di pera… si figuri che ormai lo preferisco la mattina in vece del solito caffè da quando ho scoperto che mi fa accumulare meno stress».
«Eh, già, avvocato… dopotutto col tempo si cambia…».
«Beh… solo lo stolto non cambia mai opinione dopotutto».
«Sempre in vena di citazioni, eh avvocato? … ma dopotutto se non se le può permettere lei con il mestiere che fa…».
WHH-GHEEEEEEEEEE
Solo adesso mi accorgo che c’è una carrozzina dietro il bancone della cassa, lì, vicino a quel calendario fisso al mese di agosto ed alla sua rispettiva foto, una veduta notturna del Duomo firmata, come sempre, del vecchio amico Ennio, occhio della città (apprezzo il fatto che il sig. Luigi abbia abbandonato i calendari con donne in desabillè per più folkloristici lunari locali).
«AVVOCATO UN ATTIMO! ».
Mentre il mio salumierepanettieredifiducia si precipita verso la porta che dà sul retro del negozio tornando con un biberon caldo, messo lì da parte per il/la piccolo/a urlatore/trice.
«Hheeiiii… gughi-gughi… macchettiappreso carotina…».
«…ma è splendida…!».
«Mia nipote. Sa, mia figlia è a Mantova per un colloquio di lavoro, allora mi ha chiesto di tenerle la piccola Alessia per questa settimana, e visto che a casa da sola non poteva stare, ho pensato di portarla qui con me, tanto fastidio non me ne dà... ».
«Ah… ma ora cosa vorrà mai…?».
«Eh… sono le otto meno un quarto, è l'ora della poppata, più puntuale di un orologio svizzero… tieni, prendi il tuo biberon…».
Accenno un sorrido sbuffando dal naso.
«…beh Luigi, per me è ora di andare, i giri mattutini non li ho ancora terminati prima di scappare in studio, eddevo passare da casa per lasciare queste cose… ».
«Allora buona giornata, avvocato, emmisaluti la professoressa che è da tanto che non la vedo...!».
«Certo, Luigi, non mancherò, buona giornata... ».
Mi dirigo verso la grande porta di vetro con infissi in alluminio, la apro, il campanello suona lo stesso, ed esco.
Un cielo terso e pulito fa da sfondo ad un sole che, timido e vigliacco, prova ad intiepidire una troppo fresca mattina novembrina, rischiarando rendendo un po' meno grigio il cemento che domina nel centro di PiazzaTrecentomila-come-la-chiamava-mia-nonna.
Mi fa un po’ rimpiangere la mia vecchia casa al centro storico, bianca e luminosa ai primi raggi, mentre il vecchio anfiteatro romano faceva capolino tra le fenditure delle imposte, incarcerate quasi tra verdi sbarre di erica.
Mi fermo alla solita edicola.
«Buongiorno».
«Oh, salve avvocato! Ecco il suo quotidiano… ah, le ho procurato quell'inserto arretrato… eccolo qui».
«Oh, grazie, Mario…».
«…ma si figuri è un piacere…».
Ci credo, tanto sono io a pagarlo il doppio visto che è arretrato.
»Ah, ma la professoressa? non la vedo da un po'… eppoi oggi è arrivato il nuovo numero di "Donna oggi"».
«Ah, bene… me lo dia… glielo porterò a casa… non è stata molto bene ultimamente…».
«Beh, si, capita, forse siamo distratti tutto l’anno da questo bel sole e non ci accorgiamo che le stagioni cambiano e si rinfrescano, e basta un niente per ammalarsi… le faccia gli auguri di pronta guarigione, mi raccomando avvocato! ».
«Grazie, Mario, buona giornata».
E vado via, mentre ascolto il mio edicolante di fiducia tessere le lodi del mio lavoro, della mia posizione sociale, del mio si è fatto da solo, dei miei movimenti bancari sui quali è ben edotto dal fratello che lavora allo sportello della mia banca, e bla-bla-bla con il verduraio lì accanto.
Passo sotto il quadrangolo alberato della luminosa e plumbea piazza, facendo attenzione ai soliti stormi di volatili lì appollaiati, ma che forse a quest’ora non sono ancora nella loro tristemente nota fase digestiva.
Arrivo a casa, intanto, ed il portiere mi accoglie con un ampio sorriso, salutandomi ossequioso una decina di volte, mentre mi consegna una lettera dell’amministratore per la solita inutile riunione nella quale inutilmente protesterò per le universitarie del piano di sotto, che inutilmente trascorrono il loro tempo con inutili party-per-festeggiare-l’esame dell’inutile Facoltà di Legge che tanto avvocati siamo già troppi (ma non-inutili), tutto questo mentre altrettanto inutilmente la sera cerco di prender sonno.
Ma il portiere mi ossequia lo stesso.
Clac.
Entro a casa, ed appoggio la spesa in cucina, le arance prese ieri hanno profumato l’intero ambiente, sostituendosi al lezzo di cavolfiori lessi che fino a ieri non voleva saperne di andar via. Mi dirigo in bagno per un impellente bisogno di mingere, sarà stata l'aria fresca mattutina a stimolarmi. Mi lavo le mani ed entro in camera da letto, da mia moglie.
Le tapparelle sono semichiuse, e lasciano permeare quel primo sole mattutino sulle coperte, ingrossate dal corpo della donna che amo.
Faccio piano, mi siedo accanto, mentre le molle del materasso cigolano lievemente, e le accarezzo i capelli, mentre il loro profumo mi assale. Le passo il mio indice destro sul volto, disegnandolo quasi, mentre la bacio sulle sue labbra, dolci e morbide, e mai come adesso mi rendo conto di averla imbalsamata davvero bene.

fonte iconografica www.svirrus.blogspot.com

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