giovedì 21 gennaio 2010

Storia di un omicidio datato 1860


Omicidio a Road Hill House. Invenzione e rovina di un detective

di Maria Beatrice Protino

Il romanzo di Kate Summerscale (Einaudi 2008) vince il prestigioso Samuel Johnson Prize 2008 per la saggistica e conquista un vastissimo pubblico. La sua forza: poter essere letto a diversi livelli, cioè come un giallo ambientato in epoca vittoriana, come ricostruzione storica di una vicenda realmente accaduta e documentata in modo ineccepibile e chiaro, come significativo ritratto di un’epoca – quella del diciannovesimo secolo inglese - dominata da un’opinione pubblica ancora stretta in fortissimi pregiudizi, ma anche epoca d’oro del romanzo inglese e della creazione della figura del detective.

La vicenda

In una notte d’estate del 1860, in un’elegante casa in stile georgiano del Wiltshire - di cui vengono riportati foto e planimetrie dell’epoca - mentre tutti dormono, un bambino di tre anni, Saville Kent, viene prelevato dalla suo lettino e assassinato. I genitori che dormono nella stanza accanto e la bambinaia che riposa addirittura nella stessa stanza del bimbo, non si accorgono di niente. Solo il mattino dopo l’orribile scoperta nel giardino della casa: il bambino è stato sgozzato e avvolto in una coperta. La polizia locale, prima ad arrivare sul posto, si dimostra incapace di indagare, così viene mandato sul posto l’ispettore di Scotland Yard Jack Whicher: lui, per primo, userà metodi di indagine che poi diventeranno famosi al pubblico dei romanzi gialli di Dickens, Stevenson o Conrad, che si ispireranno proprio alla sua figura per creare i loro personaggi immaginari.
Le conclusioni del detective, però, non saranno accettate: solo in un secondo momento e dopo anni - che vedranno pagine di quotidiani e fantomatiche giurie popolari affannate attorno ad un caso - si riveleranno esatte.

L’analisi del caso

Leggere questo libro significa scorrere la storia di un’epoca, oltre che quella di un omicidio: dai continui riferimenti letterari alla narrativa vittoriana - a dimostrare di come una parte essenziale della scuola gialla inglese affondi le sue radici proprio in questo caso di cronaca - alla recente invenzione della figura del detective - un poliziotto in borghese, ancora poco conosciuto dall’opinione pubblica e che, proprio grazie alle prime pagine del giornali che per anni si interrogarono morbosamente sul reale assassino del bimbo, fu dipinto ora come un eroe ora come un intruso nelle mura domestiche della ricca casa borghese, terrorizzata dallo scandalo. Ma la scrittrice offre anche una visione interna del delitto, attraverso la presentazione di uno scritto di pugno dell’assassino, ritrovato decenni dopo e che lascia poco all’immaginazione e molto alla pietà.
La riflessione finale della scrittrice, attenta e sensibile alla vicenda umana, lascia il solito retrogusto amaro di chi non può intervenire in alcun modo sugli esiti della vicenda: «.. immagine che ci restituisce il bambino in vita, un bambino che si sveglia e di colpo si vede perduto. Quando ho letto queste parole mi sono ricordata, con un sussulto, che Saville è esistito davvero, che era vivo e vegeto. Nel dipanare la matassa di questo delitto me ne ero come dimenticata».

Articolo tratto da Ripensandoci

martedì 19 gennaio 2010

il piccolo principe


Gli incontri che arricchiscono la vita

di Gianluca Matarrelli

«Ecco il mio segreto. È molto semplice:
non si vede bene che col cuore.
L’essenziale è invisibile agli occhi»


“Il Piccolo Principe”, il più famoso libro di Antoine de Saint-Exupéry, continua a emozionare i lettori di tutte le età per la sua poetica semplicità e per la profondità dei suoi contenuti. Tra le pagine più famose, spiccano senza dubbio quelle che descrivono l’incontro tra il protagonista e una volpe selvatica. Il lettore è indotto a riflettere sul valore e sull’importanza dell’amicizia e dell’amore, che sono il sale dell’esistenza umana.
La nostra vita acquisisce sapore solo quando c’è qualcuno che la arricchisce con le sue premure, la sua presenza, con “riti” quotidiani che pian piano ci “addomesticano” fino a che non possiamo più fare a meno dell’altro. Una condizione, quest’ultima, che è gioia e tormento allo stesso tempo.

L’incontro tra i due personaggi

Il piccolo principe, trovandosi su un pianeta completamente diverso da quello d’origine, è triste e solo. Ha assolutamente bisogno di amici e pensa di poterne trovare tra gli uomini. Incontra una volpe, a cui chiede subito di giocare. L’animale rifiuta la sua proposta perché non è addomesticata. Anche la volpe, però, ha bisogno di legarsi a qualcuno e, per questo motivo, chiede al Piccolo Principe di addomesticarla. Il protagonista accetta e riesce a creare un legame di amicizia con l’animale seguendo i consigli dello stesso.
I due rimangono insieme fino al giorno della partenza del Piccolo Principe. La volpe è triste, ma non è pentita di essere stata addomesticata, perché, grazie all’amicizia, la sua vita, un tempo monotona, adesso ha un nuovo senso e cose che un tempo per lei non avevano alcun valore, come il colore del grano, adesso hanno acquisito un significato perché le ricorderanno per sempre il suo amico. Anche la vita del Piccolo Principe è più ricca: non solo egli ha trovato una nuova amica, ma ha anche compreso che i legami affettivi rendono gli esseri viventi unici e ha capito il valore inestimabile della sua amica lontana, la sua rosa.
Ci sono tante volpi, tante rose, ma una sola è la volpe importante per lui, una sola la rosa che gli sta a cuore.

Cosa vuol dire “addomesticare” qualcuno
«“Che cosa vuol dire ‘addomesticare’?
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‘creare dei legami’...”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”».
Per addomesticare qualcuno, non bisogna essere frettolosi. Sono necessarie molta pazienza e molta attenzione all’altro. Conviene dosare le parole, che spesso «sono una fonte di malintesi». Ed è utile creare dei “riti”, ossia appuntamenti, consuetudini, ricorrenze fisse, in modo tale che chi ne beneficia non ne possa fare più a meno. Addomesticare significa creare dei legami per la vita. «Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato».

Approfondimenti
Per saperne di più

- Antoine de Saint-Exupéry - Biografia.

- Il piccolo principe: cap. 21.

Questo articolo è tratto da Ripensandoci