lunedì 27 aprile 2009

I salotti letterari

Uno spaccato di vita sociale
e intellettuale creato
dalle donne per gli uomini

di Emanuela Boccassini

La totale mancanza di potere, ha fatto sì che la donna, a partire dalla fine ’600, si sia adoperata per ritagliarsi uno spazio proprio, nel quale mostrare le doti intellettuali e acquisire una cultura, fino a quel momento esclusivamente maschile.Tra la fine del XVII e il XIX secolo si svilupparono in tutta Italia i “salotti letterari”: luoghi di “formazione”, in cui si impegnavano per conoscere personaggi influenti, stringere “interessate amicizie” politiche utili alla carriera dei loro assistiti.

Le salonnièries riuscivano a sfruttare le abilità innate e quelle di strateghe per raggiungere i propri scopi. La protezione offerta ai giovani intellettuali, garantiva loro una funzione, ancora una volta, «rivolta al servizio e alla cura degli altri». Ma attraverso «l’enfatizzazione di virtù private», esse potevano diventare «figure di pubblica autorità».La padrona di casa, generalmente membro dell’élite (aristocratica o borghese), apparteneva saldamente al «contesto sociale e familiare» che costituiva parte del suo entourage salottiero. Questa figura univa un vasto, molteplice e composito gruppo di “visitatori”: per lo più disillusi e smaniosi giovani intellettuali alla ricerca di conferme, approvazione e possibilità d’inserimento nella società. Il salotto letterario, che può essere collocato a metà strada tra il familiare e il sociale, rappresentava un importante trampolino di lancio e un modo per attuare una «ricerca di sé».

Così la “salottiera”, che ospitava gli intraprendenti intellettuali, doveva mostrare doti “materne”. Si doveva occupare di loro proteggendoli, inserendoli nella società, aprendo le porte del successo e procurando, persino, un matrimonio conveniente. Naturalmente tutto ciò si svolgeva all’insegna di regole ben precise: quelle «dell’apprendistato mondano specifiche del salotto e della sua attività più importante, la conversazione». Attraverso questa si imparavano, infatti, autocontrollo, osservazione e buone maniere. La padrona di casa dirigeva questa «scuola di vita moderando le tensioni e prevenendo i contrasti». La donna, quindi, pur ricoprendo una posizione diversa da quella che l’aveva contraddistinta fino a quel momento, continuava a essere collocata all’interno di una “parte” che iniziava a sentire non adeguata.

«La donna assolve il ruolo di educatrice alla convivenza e alla civiltà: vale a dire favorisce l’inserimento del giovane maschio nel consesso sociale, permettendone l’armonia e l’equilibrio e sostenendone la realizzazione in quanto individuo tra gli altri individui». (Maria Luisa Betri ed Elena Brambilla , a cura di, “Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine del Seicento e i primi del Novecento”, Marsilio, 2004).
La società le richiedeva ancora quelle caratteristiche tipicamente femminili, quali la gentilezza, la moderazione, la discrezione, la disponibilità, la bontà. Tuttavia, con eleganza e intelligenza, “tesseva” legami, “cuciva” rapporti utili e velava la sua «interferenza», in ambiti a lei non accessibili, con l’influenza, l’importanza e il prestigio (grazie agli uomini autorevoli e colti che ospitavano) conquistati proprio nei salotti. Qui, infatti, le donne riuscivano a ritagliarsi una fetta di indipendenza creando un intreccio di rapporti liberi. Tali riunioni erano l’unica occasione del “gentil sesso” «per scegliersi passatempi e, soprattutto, amicizie non convenzionali».

Ai salotti partecipavano anche altre donne, oltre la padrona di casa, ma la loro importanza era minore: i luoghi di conversazione preferivano un pubblico maschile. Le salonnièries, se da un lato occupavano una posizione di prestigio e privilegio, dall’altro sul piano familiare e sociale non avevano alcuna influenza. Il salotto svolgeva un ruolo fondamentale per la divulgazione di opere inedite attraverso la lettura. Nei tempi passati l’autore cercava l’approvazione del principe, cui era spesso dedicata l’opera. L’intellettuale aspirava al consenso di un pubblico variegato che rispecchiasse le vere esigenze e i gusti dei nuovi lettori – gli uomini comuni –. Si rivolgeva agli astanti per le modifiche da apportare al proprio lavoro, mentre si affidava al giudizio femminile per gli aspetti «emozionali».In genere nei salotti si leggevano opere «impubblicabili», quelle cioè bandite o per motivi politici o per censura. Oppure le notizie dal mondo per “sapere cosa succedesse al di là del mondo salottiero”.

Particolarmente attive furono le salonnièries durante il periodo del liberalismo e della rivoluzione italiana, nello sviluppare e diffondere le ideologie sovvertitrici e unificatrici. Sempre sfruttando il ruolo di madre, le salottiere presentavano la nazione come una grande famiglia in cui i giovani letterati erano chiamati a difendere l’onore e la patria.
«Se le donne, depositarie dei più sacri valori, estranee “per natura” alla sfera egoistica degli interessi e a quella della violenza ne benedicono le finalità, la guerra diventa santa: è infatti, guerra per il riscatto del focolare domestico e della propria stessa famiglia». (Maria Luisa Betri ed Elena Brambilla , a cura di, “Salotti e ruolo femminile in Italia. Tra fine del Seicento e i primi del Novecento”, Marsilio, 2004).

Da una lato le salottiere favorirono la consapevolezza di sé e dei propri diritti. Dall’altro non permisero però la nascita, nei salotti, di dibattiti e prese di posizione sulla “condizione femminile” (alcune protagoniste in questo senso si muovevano in maniera autonoma).

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