lunedì 19 gennaio 2009

Creare una comunità morale - lezioni di gestione d'impresa


Una impresa raggiunge i suoi successi più strepitosi quando il gruppo dirigente è formato da persone che condividono gli stessi fini ed in cui ciascuno dimentica i propri interessi personali per darsi totalmente allo scopo comune. Allora la sua personalità si dilata, la comprensione reciproca diventa fulminea, l’accordo diventa facile, spontaneo e nasce una forza, una creatività straordinaria.
È questo ciò che ogni leader, ogni imprenditore, ogn i capo dovrebbe voler realizzare. E, quando lo ha realizzato, dovrebbe coltivare, tenere vivo, proteggere, potenziare questo spirito, ed impedire che si accendano i processi negativi in cui ogni individuo antepone la sua personale meta individuale, il suo personale interesse alla meta collettiva.
Troppo spesso dimentichiamo che qualsiasi l’impresa, qualsiasi istituzione è formata da esseri umani che si sentono forti quando si sentono uniti, quando hanno una meta comune.
Troppo spesso dimentichiamo che tutti vogliono sentire che il loro lavoro ha un significato, un valore. Che una impresa si espande, trionfa, ha successo quando tutti, dal presidente al portiere, al fattorino, sono orgogliosi di appartenervi e di contribuire al suo sviluppo.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa o una istituzione prospera e fiorisce solo quando i capi sono dei leaders che i dipendenti approvano apprezzano, stimano, amano e che eleggerebbero loro stessi.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa prospera quando tutti, dai più alti dirigenti ai più umili dipendenti sono ragionevolmente sicuri che la loro attività viene capita, apprezzata, premiata, con equità, con giustizia.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa fiorisce e prospera quanto la gente, a tutti i livelli, si stima, si rispetta, quando, anziché odiarsi collabora, quando si aiuta, quando non mente quando si invidiano.
Troppo spesso dimentichiamo che non bastano le parole, le dichiarazioni di principio, per motivare le persona perché queste si accorgono quando i fatti non corrispondono alle dichiarazioni, quando i dirigenti fingono di essere convinti, ma sono in realtà falsi ed ipocriti.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa non è solo una entità economica, cementata da interessi, ma una comunità morale. Quando si spezza la comunità morale, e il gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere del guadagno, delle chiacchiere o, ancor peggio dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità, alla fine fallisce.
Troppo spesso dimentichiamo che oltre all’intelligenza, alla lungimiranza, oltre alla stessa genialità il grande leader deve avere realmente delle qualità morali, delle virtù. Perché solo se le possiede in proprio potrà trasmetterle agli altri. Sembra impossibile che la gente abbia dimenticato che uno Stato, un partito, una imprese ha realmente bisogno di moralità. E che la moralità non è fatta di parole, ma di sentimenti sinceri e di comportamenti coerenti. E che si insegna solo con l’esempio.
La parola virtù è oggi così poco usata che ci siamo perfino dimenticato il suo significato. Una virtù è un insieme di qualità, profondamente interiorizzate che soddisfano simultaneamente tre requisiti. Il primo è di realizzare ciò che riteniamo un valore, per cui ci sentiamo migliori. Il secondo di ottenere risultato utili per noi o per la nostra comunità, cioè una utilità. Il terzo terza di costituire un modello, un comportamento che vorremmo seguissero anche gli altri. Solo quando sono presenti tutti e tre questi requisiti una virtù è completa.
Prendiamo come esempio il coraggio. Il coraggio deve farmi sentire più forte e migliore. Deve consentirmi di realizzare gli obbiettivi che mi pongo, le mie mete. Ma ciò che faccio deve anche poter essere un modello per tutti. Il coraggio di fare il male perciò non è una virtù. Ma non lo nemmeno il coraggio di fare solo cose che mi danneggiano. Se questa è la virtù, non è difficile fare un elenco delle virtù del manager, del leader, del capo. Basta che ciascuno di voi pensi come vorrebbe che fosse per seguirlo con entusiasmo, per credere in lui, per avere fiducia, e quindi per lavorare volentieri, senza la fatica che avvelena il nostro animo ogni volta che ci sentiamo circondati dalla ingiustizia, dalla disonestà, dalla menzogna e dalla prepotenza. E questo senza pretendere che sia un asceta o un santo, ma un uomo come noi che opera nel mondo, in una organizzazione in cui ci sono sempre problemi da risolvere.
Facciamo allora, senza tante esitazioni questo elenco. Quali virtù vogliamo che egli abbia? La sincerità contrapposta alla falsità, alla doppiezza, l’intrigo, la calunnia, l’ ipocrisia. L’obbiettività: la capacità di valutare senza farsi influenzare dai pregiudizi e dalle maldicenze. La forza d’animo, che lo rende sereno e lucido anche nei momenti più difficili. L’umiltà, che è la capacità di ascoltare gli altri e di ammettere e correggere i propri errori. Il coraggio, necessario per prendere decisioni difficili ed assumersene le responsabilità. La generosità che è la capacità di pensare agli altri, al loro benessere, di dedicarsi, di spendersi, dando l’esempio. Infine la giustizia, la arte difficile di scegliere veramente i capaci, gli onesti, i sinceri, e scacciare i disonesti, i falsi, i calunniatori, chi perseguita e prevarica gli innocenti.


Estratto da "L'arte del comando ", Francesco Alberoni, Rizzoli e pubblicato sul sito di Francesco Alberoni

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