lunedì 2 giugno 2008

Michele Placido (Besa 2008)



Michele Placido: un esempio di cinema “civile” lungo una carriera. In oltre 35 anni l’attore ha ricoperto un centinaio di ruoli, interpretando in modo magistrale la realtà italiana, quella più spinosa, più difficile da raccontare. Altrettanto fa come regista a partire dagli anni Novanta. Dall’intervista rilasciata a Massimo Causo e Fabrizio Corallo, Michele Placido. Un viaggio chiamato attore, pubblicata dall’editore Besa, emergono due aspetti affascinanti e profondi: il suo ruolo di artista “impegnato”, capace di far “parlare” la storia e l’attualità, e il magnetismo di chi nella vita ha avuto dei veri maestri e oggi è egli stesso “maestro”.

Il cinema e un po’ la tv (dalla seria "La Piovra" al recente "Moro – Il Presidente") sono stati per lui e grazie a lui “la voce” dei dissidi degli anni Settanta ("Romanzo popolare", "Marcia trionfale", "Ernesto", "Il prato"), delle contraddizioni degli anni Ottanta ("Tre fratelli", "Sciopèn", "Pizza Connection", "Mery per sempre"), delle trasformazioni degli anni Novanta ("Giovanni Falcone", "Lamerica"). Proprio negli anni Novanta inizia la sua attività di regista, ed esordisce denunciando l’emergere di nuove “questioni sociali” come in Pummarò. Ha rappresentato e diretto temi scomodi: dalla mafia ("La Piovra", "Pizza connection") alla discriminazione razziale ("Pummarò"), alla vita in un carcere ("Mery per sempre"), a un femminismo meridionale colpevolizzato e incompreso ("Io sono mia"), alla violenza in famiglia ("Le amiche del cuore"), a esempi magistrali di dedizione al dovere e allo Stato ("Un eroe borghese", "Giovanni Falcone"). Insomma non ha tralasciato nessun aspetto di rilievo il bravo e bel artista pugliese.

«L’esperienza teatrale mi ha portato a lavorare in una certa direzione piuttosto che in un’altra, sono stato un po’ viziato da certi autori, dall’aver avuto insegnanti come Ronconi, Orazio Costa, Strehler… Il che, quando poi sono iniziate ad arrivare le offerte, mi ha indotto ad accettare certe cose piuttosto che altre, fino a trovarmi tra le braccia di un Rosi, di un Bellocchio, di Damiani, Comencini, Monicelli. Tutti registi importanti, che, quando sono passato a mia volta dietro la macchina da presa, mi hanno messo naturalmente nella condizione di fare un certo tipo di film, di affrontare determinati problemi, insomma di fare Pummarò piuttosto che una commediazza qualsiasi».

Le parole di Placido giungono come un balsamo a chi crede ancora che affrontare “certi problemi” sia necessario, a chi crede che i “maestri” che ti insegnano il “mestiere” siano fondamentali.


di Rossella Bufano
fonte iconografica: www.blogosfere.it

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