Tullio Pinelli è uno dei più illustri e importanti sceneggiatori italiani. Ormai è uno dei “mammasantissima” dell’olimpo culturale italiano, riconosciuto e certificato. Lo ricordiamo per aver collaborato con Federico Fellini alla sceneggiatura dei film Luci del varietà, Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria, Il bidone, La dolce vita sino al mitico trittico di Amici miei per Mario Monicelli. Tutte cose che al cinema o in tv in molti, moltissimi hanno potuto veder e, gustare, partecipando emotivamente alle vicende degli splendidi personaggi, singolari, un po’ fuori le righe, da Pinelli creati. Ma Pinelli lo ricordiamo anche per bellissime prove di narrativa come La casa di Robespierre (Sellerio) o l’ultimissimo Innamorarsi, una raccolta di racconti per la neonata Edizioni Controluce. Partiamo proprio da Pinelli perché è stato forse l’unico, o uno dei pochissimi, a fondere diversi registri, quello cinematografico, teatrale, e scritturale ottenendo risultati singolari per freschezza e vivacità. Sembra che nella più immediata contemporaneità, per certi aspetti un suo degno erede, sia proprio Riccardo Reim nel suo interessante Il tango delle fate edito da Hacca. Scrittore, regista, attore ha avuto l’opportunità con questa sua nuova avventura narrativa di mostrare come sia possibile giocare sulle diverse combinazioni di esistenze possibili, oggi più che mai nell’era della trasformazione e della mutazione. L’oggetto del “massacro” è l’Io, anzi uno dei possibili Io del protagonista, in bilico sul baratro di una non-presenza nella realtà, di una non-aderenza circa la ricerca di una sua identità… necessaria alla resa dei conti? Problemini di tal sorta li lasciamo alla psicologia da salotto. Già perchè il/la protagonista (magistrale la tenuta di stile nel destreggiarsi in un mondo misero e piccolo piccolo, grigio, bastardo e volgare, effettuando un vero e proprio salto di paradigma sulla sessualità, divenendo una voce poli-sessuale a tutti gli effetti) , Caminito (traduciamo sentiero) danzatrice/danzatore di tango, e Bernadette, allucinazione psico-mistica con evidente riferimento alla bambina di Lourdes, sono personaggi d’un’opera aperta e forse tutta ancora da scrivere, che nulla hanno da invidiare ai 6 personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Stessi vuoti, stesse penombre, stesso riso amaro, stessa disperazione. Caminito, animaletto strano, voglioso di una vita normale, di un amore normale, di affetti e oggetti quotidiani normali, anche a costo di tagliare con un trancio netto ,una parte di sé. Non ci vedo nulla di un’interiorizzazione da parte di Reim del declino post-industriale dell’individuo o dell’alienazione da abitante dell’oggi turbo-capitalistico. Anzi, ci vedo un godere meraviglioso della e per la vita, nonostante tutto, nonostante le privazioni, le amputazioni, le rinunce, le preghiere, e nonostante tutto il ben volere delle “fate” e la protezione di una grande, gigantesca, infinitamente ed eburneamente amorevole “Signora” …. Una ricerca forse del Bello da parte di Riccardo Reim, senza se e senza ma, che a parte le macerie, vuole portare alla luce anche nelle piccole cose di ogni giorno: “ La domenica, tutte le patriarcali famiglie che uscivano dalla messa al Duomo o alle vicine chiese di San Bernardino e San Domenico Maggiore, acquistavano immancabilmente le otto, dieci, dodici paste destinate a dare la ghiotta nota finale al pranzo della festa: paste gigantesche, gravide di crema e di panna, lustre di glassa, spolverizzate di vaniglia e cacao. Sfogliatelle scagliose che crocchiavano come vetro sotto i denti mentre il ripieno di ricotta e canditi si liquefaceva sulla lingua; morbide ciambelle che si sfarinavano addentadole, cosparse di zucchero granellato e uvetta; crostate di pastafrolla ricoperte da un fitto strato di confettura che impiastricciava le labbra; croccanti al miele tempestati di mandorle e pinoli …” Cos’altro da aggiungere…
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